mercoledì 22 ottobre 2014

“Studi di settore” o “obblighi di settore”?

Questo articolo è comparso oggi su “Il Giornale”


Credo che questo articolo faccia capire come siano inutili e superflui gli studi di settore, su cui attualmente si basano molti degli accertamenti fiscali a cui vengono sottoposti molti imprenditori e commercianti in Italia.

Questi basano il reddito minimo che un contribuente dovrebbe dichiarare sulla base di alcune presunzioni (area geografica in cui opera, possesso o meno di determinati servizi/macchinari, presenza di dipendenti e loro forme contrattuali, posizione del punto vendita all’interno del comune, fronte strada delle vetrine…) che però non tengono mai conto, se non in misura marginale, della crisi economica o di altri fattori, come nel caso dei piccoli commercianti la presenza nelle vicinanze di centri della GDO.

Il fatto di non essere congrui (e cioè di dichiarare meno di quanto da loro ritenuto) fa scattare l’idea di essere o un cattivo amministratore o di essere un evasore.

Mentre per il primo caso direi che, finchè non si frodano gli altri, ognuno è libero di fare ciò che vuole (perché è il mercato che sceglie chi far chiudere e chi far continuare nella sua attività), nel secondo mi pare veramente labile il confine tra non congruità ed effettiva evasione.

Ogni anno gli studi vengono visti al rialzo, come se le aziende esistessero da sempre e non avessero mai conosciuto crisi…

Si arriva all’assurdo dove una azienda neo costituita viene trattato come chi ha 30 anni di apertura alle spalle… può sembrare normale? Secondo me no…


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